Mariano Peluso e le ‘cattedrali di tufo’ del Vallone San Rocco

Francesca Saturnino, 16 Novembre 2025

Esperienze

Mariano Peluso, laureato in Scienze geologiche, è un ambientalista per vocazione. Ci guida alla scoperta di un mondo inimmaginato a pochi passi dalla metropolitana di Chiaiano.

Siamo nel Vallone San Rocco, sotto il ponte della metropolitana, in una delle quaranta cave di tufo presenti lungo tutto il percorso di via Saliscendi, toponimo che da solo evoca le caratteristiche di quest’area.

La cava ha un tetto altissimo e molto ampio; la superficie delle pareti e liscia, molto friabile, a terra si formano piccole montagne di polvere tufacea. Vi si accede da uno dei sentieri del Vallone. All’interno, stanze di tufo giallo oro, poroso, perfettamente levigato, così come l’hanno lasciato gli ultimi cavatori di tufo, che da oltre cinquant’anni non vengono più qui.

Queste cave sono la testimonianza della lavorazione del tufo che fin dall’antichità caratterizza la città di Napoli. I Campi Flegrei ci hanno regalato questo materiale così friabile e facilmente lavorabile. Il Vallone San Rocco s’inserisce in questo contesto come una scultura, un’incisione naturale all’interno del massiccio tufaceo nato da un’eruzione di dodicimila anni fa.

Quello del cavatore di tufo e di piperno è uno dei mestieri più antichi praticati nel napoletano ed in area flegrea, svolto rigorosamente a mano, solo in epoca più recente anche in maniera industriale.

Il Vallone, situato nell’area nord del Comune di Napoli, è stato usato dai cavatori in una seconda fase della costruzione della città, dopo le cave più centrali e più comode da raggiungere, che hanno permesso la costruzione del sito greco, poi di quello romano. Quando tale attività di scavo diventò troppo pericoloso, si iniziò ad usare la zona di Napoli nord.

Le quaranta cave del Vallone San Rocco sono parte delle circa centottantatrè presenti in tutta la città. Vere e proprie cattedrali naturali che vanno dai quaranta ai sessanta metri di altezza, utilizzate fino all’arrivo del cemento, che ha sostituto quest’antico materiale di costruzione determinando l’abbandono dell’attività estrattiva.  

Di questo abbandono, all’interno del Vallone San Rocco, rimangono queste bellissime tracce, che devono essere restituite alla città come luoghi di memoria di quello che era la vecchia città ma soprattutto per far ricordare che Napoli ha una sua vocazione contadina, agraria, di campagna, di collina sana e salubre oltre che città di mare.

Il tufo giallo napoletano proviene delle ultime eruzioni dei Campi Flegrei. Geologicamente, parliamo di un periodo di grande attività vulcanica che risale a quarantamila anni fa e ancora percepibile ai giorni nostri – basti pensare al fenomeno del ‘bradisismo’. Il tufo è un materiale ricco mi minerali, di conseguenza rende la terra fertile.

In queste aree puoi piantare qualsiasi cosa, che naturalmente, anche con poca manutenzione, cresce in maniera rigogliosa. Tant’è vero che intorno al Vallone c’è un’agricoltura florida, lussureggiante: dal ciliegio ai peschi, loti, noci, castagne, funghi di tutti i tipi.

All’interno delle cave, un occhio più tecnico consente di osservare come l’eruzione di dodicimila anni fa abbia creato questo costone tufaceo, con i cosiddetti ‘flussi piroclastici’, risultato di una nube ardente di origine vulcanica arrivata prepotentemente in questo luogo per poi e depositarvisi e stratificarsi.

La conseguenza di quest’attività eruttiva sono questi enormi costoni che nel tempo, a seguito di faglie e fratture che si sono generate sul terreno, hanno creato poi i valloni. Su queste fratture l’acqua ha cominciato a scavare, a fare la sua funzione di erosione. Oltre al Vallone San Rocco abbiamo quello di Sant’Antonio, quello dello Scudillo e tanti altri. I Valloni disegnano la nostra città come una sorta di anfiteatro naturale che guarda verso il mare. L’area vulcanica ha regalato a Napoli il suo paesaggio, il suo scenario, le testimonianze delle due città stratificate che si sono potute conservare anche grazie a tutti i depositi avvenuti a seguito delle alluvioni.

Chiediamo a Mariano degli impatti dell’urbanizzazione su queste aree così delicate.

Quando la geologia viene a servizio dell’urbanistica e dell’architettura in generale, consiglia di non costruire nei valloni e nelle valli poiché, col tempo, la natura tende a riprendersi ciò che è suo. Si consiglia quindi di non rendere urbanizzata una zona così fragile dal punto di vista idrogeologico e sismico.

Eppure in queste zone sono stati edificati numerosi centri abitati.

Addirittura, nel caso del Vallone San Rocco, non hanno pensato ai sottoservizi della città: se c’è un vallone, c’è un canale d’acqua, e quel canale scava. Se in questo canale ci sversi anche il sistema fognario della parte antropizzata, il carico è eccessivo. I Colli Aminei fanno centoventimila abitanti e tutta la parte fognaria di quest’area va a finire nel Vallone San Rocco. Queste acque andrebbero divise: la parte fognaria nei sottoservizi, la parte delle acque reflue piovane dovrebbe essere raccolta sull’esterno, rendendo il Vallone ancora fruibile dalla fauna, per la flora e per la parte umana che vuole andare a visitarlo, per la sua naturale vocazione di essere un canale d’acqua.

Nel tempo, l’accelerata espansione e il sovraffollamento di alcuni quartieri napoletani – pensiamo alla zona ospedaliera che, soltanto negli ultimi vent’anni, ha visto raddoppiare i suoi abitanti – hanno peggiorato le cose. E il Vallone San Rocco, dagli anni ’80 ad oggi, è stato teatro di sversamenti di materiali di tutti i tipi.

Quando hanno capito che sversare rifiuti rendeva di più che spacciare droga, questa conversione del tessuto malavitoso della città ha fatto sì che qui sono venuti a sversare di tutto, da residui di materiale di costruzione delle case a forme più inquinanti come quelle dei residui industriali. La Corte Europea ha condannato l’Italia per non aver ovviato al sistema fognario del Vallone.

Per Peluso che, da amante della natura e del paesaggio, viene a esplorare queste cattedrali di tufo ogni volta che può, il Vallone può essere fruito dai cittadini, ma con rispetto.

Il Vallone deve riacquistare la sua vocazione naturale: ritornare a essere una valle ricca di flora e di fauna. L’uomo deve e può goderne, ma in punta di piedi. Dobbiamo averne rispetto, stiamo parlando di uno dei polmoni verdi attivi della città.

Peluso, assieme ad altri amici geologi, ornitologi, naturalisti auspicherebbe di costituire un’associazione finalizzata alla tutela ambientale attiva delle aree verdi di Napoli, attraverso cui mettere in rete le competenze esistenti per tutelare e promuovere in maniera sostenibile il Vallone. La proposta è semplice: portarci persone, pochi alla volta, organizzare visite guidate, trekking urbano, attività di riconoscimento e studio di flora e fauna, piccoli eventi.

Cerchiamo di fare delle visite guidate senza scopo di lucro per far conoscere questo territorio ai cittadini curiosi. Usiamo i canali social network, blog, giornalismo attivo. Abbiamo iscritto il Vallone San Rocco alla campagna FAI ‘I luoghi del Cuore’.

L’obiettivo finale è condividere un progetto da presentare al Ministero dell’Ambiente e all’Unesco affinchè il Vallone possa diventare un sito protetto.

Vogliamo renderlo fruibile con lo sforzo della società civile, coordinandoci con le amministrazioni. Si può fare tanto. Chi viene qui inizia a sognare.

Rivolgiamo lo sguardo sopra di noi, all’alto e misterioso tetto della cava in cui sostiamo, pensando a come potremmo mai dargli torto.

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