Un borgo e un albero addormentati nel caos cittadino: la vita segreta delle Cavaiole
Inauguriamo la rubrica “Luoghi e radici. Una trama di storia e natura” parlando degli alberi in città da sempre usati sia per abbellire le strade, piazze, giardini, sia per creare ombra durante le calde estati. Ma noi umani come li vediamo? Spesso come impicci che ostacolano strade, parcheggi, nuova e varia edilizia per cui si tende ad eliminarli quando “danno fastidio”. Eppure gli alberi aiutano ad abbassare le temperature d’estate e assorbono anidride carbonica, purificando l’aria e producendo ossigeno, sono nicchie ecologiche per varie specie di animali, piante ed altri organismi, oltre ad essere esseri viventi senzienti che vivono e reagiscono agli stimoli esterni. Ne è un esempio l’albero che dorme nei pressi del borgo delle Cavaiole.
L’albero che dorme
“Passerò per questa piazza con un’altra consapevolezza!” Questa è la frase con cui una signora ci ringraziò dopo la visita guidata fatta alle Cavaiole. La piazza in oggetto è piazza Cavour, ‘le Cavaiole’ è la zona alle spalle della piazza stessa tra la parte bassa della Stella e il museo MANN.
Tra le fermate delle metro 1 e 2 e anche oltre andando verso via Foria c’è un vero e proprio piccolo orto botanico, dove si possono riconoscere tipiche essenze mediterranee come il leccio, ma anche alberi provenienti un po’ da tutto il mondo come le jacarande, le paulownia, gli alberi di Giuda, le strelitzie.
Poco distante dalla fermata Museo della linea 1 della metropolitana, uscendo sulla sinistra si scendono delle scale e ci si ritrova nella parte bassa di piazza Cavour dove in una piccola aiuola tra la lanterna cinese, il leccio, la jacaranda ed altri alberi, disteso vi è Podocarpus macrophyllus sdraiato o albero che dorme, caduto sì, ma non morto.

Parte dell’apparato radicale è rimasto al suo posto e ha permesso alla pianta di continuare a vivere. Resilienza? Voglia di farcela sempre e comunque? Essere pianta è anche questo e noi abbiamo ancora tanto da imparare. Sì proprio così, a volte un albero cade per nostra incuria o perché il vento è troppo forte, ma per una pianta basta poco per sopravvivere. La minima parte delle radici rimaste sotto terra ha permesso al podocarpo di continuare a vivere. Le foglie devono guardare il sole e i rami crescono di conseguenza come piccoli alberelli sul tronco madre. Il comune di Napoli ha deciso di non togliere l’albero, anzi ha fatto sì che si poggi sui rami rimasti sotto. E ancora poco distante, proprio all’uscita Cavour della metro linea 1 in prossimità della Fontana del Tritone, troneggia un altro esemplare di Podocarpus macrophyllus che rientra nel catalogo degli alberi monumentali della regione Campania.
Le antiche origini dei podocarpi
I podocarpi sono conifere che vengono da molto, molto lontano. Originari dell’antico Gondwana, le attuali regioni dell’emisfero sud, si sono rintanati in Australia in un ambiente freddo umido. Quando l’Australia si spostò verso nord avvicinandosi all’Asia i semi di Podocarpus macrophyllus furono trasportati anche nella Cina meridionale e in Giappone. Nel 1804 arriva in Europa grazie al botanico inglese William Kerr e si diffonde grazie al suo portamento e alle foglie sempre verdi.
Il luogo in cui si trova il nostro amico però anticamente era noto per un’altra conifera: il pino. Infatti la piazza che ora prende nel bene e nel male il nome del noto statista piemontese Camillo Benso Conte di Cavour si chiamava Largo delle Pigne per la copiosa presenza di alberi di pino. Nel 1870 fu ripristinato il giardino che ancora oggi vediamo. Ma questa è un’altra storia, quella di un borgo spontaneo nato assecondando la natura del luogo e il suo rapporto con la città antica.
Un antico borgo di tagliapietre difeso da una distesa di pini
Intanto, alle spalle del grande albero sdraiato e sottratto al caos delle macchine e dei motorini che sfrecciano incessanti su via Foria c’è anche un piccolo borgo che sonnecchia e si nasconde. Si tratta di un antico abitato di cui in pochi conoscono l’esistenza. Un piccolo assembramento di case nate per dare alloggio a una condensata e scelta compagine di cavatori di pietre che hanno appunto dato il nome di Cavaiole al loro luogo di residenza e lavoro. Poco distante infatti, proprio sotto la collina di Santa Teresa ancora oggi esiste una grande cava, adibita a garage, consueta destinazione d’uso di molte cavità napoletane.
Lo scenario è dei più imprevisti e suggestivi e per arrivarvi conviene fare il giro da sopra, passando per lo spiazzo che conduce alla Chiesa di Santa Maria della Stella, dopo essere transitati magari per la grande insula abitata dai nobili Sannicandro che danno nome ai diversi toponimi della zona, tra gradini, salita e strada. Qui dunque, impegnando una piccola scala ricavata dai residenti per abbattere il dislivello e raggiungere in frettale case cavaiole, si fa un tuffo in un’epoca dalla temporalità imprecisata: in qualsiasi stagione ti assale l’odore di bucato fresco, e il colore chiaro degli indumenti stesi come festoni si mescola al silenzio inaspettato che invade il piccolo Supportico delle Cavaiole. Le nostre spalle sono ben guardate dalla potenziale minaccia di un vico spuntatore perché difese da una peculiare edicola sacra: questa cappella fu eretta da quattro ragazzi nell’anno 1921.

E pare quasi di vederli quei ragazzi, come quattro cavalieri, a impersonare gli elementi del creato che, in questo grappolo di tufo, vegetazione in aiuola, vento che si incanala tra i vestiti appesi e il rumore delle acque della poco distante Fontana del Tritone, sono schierati lì quasi a monito del fatto che in quel preciso punto della città è possibile, se si presta attenzione e osservazione, sentire che tutto anche se per un tempo brevissimo può essere in equilibrio con la natura. Ma a patto di porsi anche in ascolto della Storia.
E sia, raccontiamola dunque questa storia. Nel cuore della collina che sostiene la chiesa di Santa Teresa agli Studi e il suo convento i frati carmelitani sin dal 1602 concessero in enfiteusi (concessione di diritto reale su fondi proprietari) certi terreni di loro proprietà a un tale di nome Azzolino assieme alla concessione di “cavare il monte” che si trova sotto il giardino di Santa Teresa. Il riferimento è proprio alla possibilità di tagliare il tufo, detto anche “pietra di monte” nella grande pancia della collina in cui il complesso delle Cavaiole si originò. A voler cercare il nome di uno dei più antichi proprietari poi, non ci costerebbe fatica se leggessimo le tabelle stradali che fanno riferimento a un certo Gagliardi, di nome Simonetto, oggi rimasto a denominare due vicoli e una piccola piazzetta.

Questo antico abitato è un chiaro esempio di organizzazione a carattere residenziale, articolata in una rete intercomunicante di fondaci a vicolo, supportici e vere e proprie escavazioni tufacee, ricavata in una zona sottomonte, come ce ne sono tante nella città di Napoli che è circondata da colline. Qui furono sospinti come in un recesso nascosto i cavaioli che qualcuno dice provenienti da Cava dei Tirreni e che popolavano con le loro attività rumorose e polverose l’antico Largo delle Pigne, oggi più o meno corrispondente alla zona che si estende dalla Piazza Museo sino alla chiesa del Rosariello alle Pigne. Anche qui i toponimi continuano a conservare le tracce di una storia più antica: nel medioevo infatti la zona era completamente ricoperta da alberi di pino volgarmente chiamati ‘e pigne, raggiungibile dall’altro versante della strada grazie ad alcuni ponti che consentivano di attraversare una profonda depressione esito dell’erosione dovuta alla direttrice di scolo delle acque meteoriche provenienti dalle colline circostanti. Sappiamo infatti che uno di questi passaggi era ancora usato nel primo Seicento, quando il famoso medico Marco Aurelio Severino lo impegnò per arrivare alla pineta, citandolo in una deposizione al suo processo da parte del Tribunale dell’Inquisizione. La zona aveva così sì un carattere urbano, essendo praticamente adiacente alla parte settentrionale della murazione antica cittadina, ma anche un’aria da periferia dominata dall’elemento di natura, se è vero, come leggiamo nelle cronache, che i napoletani avevano un certo timore ad attraversarla per paura di essere colpiti in capo dalle pigne che in quel tratto extra-muraneo esteso precipitavano in modo del tutto imponderabile. Purtroppo di questa distesa di verde che un tempo ricopriva il grande Largo oggi nulla più resta, fatto che non dobbiamo stavolta addebitare alla contemporaneità, dal momento che già nel 1638 resistevano come eroi solitari della estrema retroguardia due soli esemplari di pino, immortalati dal cartografo della pianta Baratta (1629 ca.).

Nessuno avrebbe potuto immaginare che sarebbero state proprio le pacifiche monachelle del Conservatorio del Rosariello alle Pigne a farli tagliare. E il motivo era semplice e, dal loro punto di vista, insindacabile: ogni volta che tirava aria di tempesta “scuotendosi al vento, faceano scuotere la chiesa”. E la chiesa era appunto parte di un ritiro per fanciulle “pericolanti”, perché in pericolo di peccare, fondato dal domenicano padre Michele Torres nel 1620 e che poi, come la maggior parte dei conservatori femminili fondati in città, fu convertito in monastero.
Oggi al posto della pineta antica il verde sopravvive, disciplinato nei trascurati giardinetti pubblici di Piazza Cavour che, attraverso i suoi monumenti sia verdi che lapidei dedicati alla memoria di patrioti e benemeriti napoletani, attende una riqualificazione promessa quanto tarda a venire.
Per approfondire
Carlo Celano, Notitie del bello, dell’antico, e del curioso della città di Napoli, per i signori forastieri, date dal canonico Carlo Celano napoletano, Napoli, 1692, Giornata 7, p. 147.
Italo Ferraro, Napoli: atlante della città storica. Dallo Spirito Santo a Materdei, Napoli, 2006, vol. 4.
Alessandro Baratta, Giovanni Orlandi, Nicolò Perrey, Fidelissimae urbis Neapolitanae cum omnibus viis accurata et nova delineatio aedita in lucem / ab Alexandro Baratta, 1629.
La rubrica “Luoghi e radici. Una trama di storia e natura”
Luoghi e radici è una rubrica a cura dell’APS Locus Iste Luoghi e Memoria in cui esploreremo alcuni luoghi della città di Napoli osservandoli con una doppia lente. Scopriremo come la storia e la natura si intrecciano e si influenzano a vicenda, creando un tessuto unico e affascinante. Ogni puntata ci porterà a esplorare un monumento naturale in un angolo della nostra città, scoprendo le storie e le memorie che si nascondono dietro pietre, alberi e strade. Vedremo come la natura abbia plasmato la città e come la città abbia a sua volta influenzato la natura, creando un equilibrio delicato e in continua evoluzione. Benvenuti nel mondo di Luoghi e Radici, dove la storia e la natura si incontrano e si raccontano.